lunedì, settembre 24, 2007

La forza della mente e quella del bricolage

Considero utile ripetersi mentalmente, a volte, le parole che si sono dette; rivedere -mentalmente- gli sguardi ricevuti in passato. Rivivere in un flashback mentale le situazioni e le correlate emozioni.
La memoria a volte inganna, altre volte chiarisce le idee.
Ci sono ricordi che vorrei dimenticare perchè sono la fonte -o la causa- di alcuni aspetti del mio carattere di cui farei volentieri a meno. O forse no. Dipende dai casi.
Durante l'estate appena trascorsa ho messo da parte quel mio cinismo che per molto tempo mi aveva indotta a vivere situazioni in modo apparentamente superficiale.
Poi, una decina di gg fa, una persona che mi conosce bene -grazie ad un feeling mentale che ci unisce- mi ha chiesto: Ma dov'è finito quel tuo pizzico di cinismo che non ti faceva mai cadere?!
Ho risposto: non lo so.
E mentre pronunciavo queste tre parole, quasi automaticamente ho innalzato di fronte a me, tra me e gli altri, una barriera di cinismo.
E il cinismo mi ha guidata per un po' di gg.
Oggi mi sono accorta che il cinismo non so più gestirlo. Chissà perchè poi...
Forse dipende dalla persona con la quale bisogna interagire: ci son quelle di cui non te ne frega niente -o poco più- e quelle, invece, che ormai hanno toccato quella parte di te definibile come punto-di-non-ritorno. e quindi ora stanno lì, radicate in te, nei pensieri, nella tua memoria. E in quest'ultimo caso il cinismo non ha chances. non serve a niente. Non porta a niente. Anzi, porta a cosa sbagliate: non fa dire, non fa fare. E tutto crolla, inesorabilmente, come crollerà domani il muro della mia cucina; ma quello, poi, il muratore me lo ricostruisce. E cos'è che usa per farlo? I materiali sono: mattoni, cemento e l'intonaco per rivestire la muratura e per proteggerla.
Ora, se un rapporto consistente come un muro crollasse, si potrebbe provare a ricostruirlo usando lo stesso metodo:
mattoni = ricordi, parole, sguardi, gesti, sorrisi
cemento = sentimento in questione
intonaco = voglia di non perdersi

"Se compro due spatole per mettere il cemento tra i mattoni e per stendere poi l'intonaco, lo costruisci un altro muro insieme a me?"


Che dite, qualcuno accetterà la mia proposta?

Speriamo. Poi lo coloriamo anche.

domenica, settembre 23, 2007

E' tempo di...



Ripulire il pensiero.



martedì, settembre 18, 2007

Mi sei venuta in mente tu...

Ascoltavo l'ultimo cd di Cristina Donà e, per ultima, è partita una canzone intitolata Conosci; il ritornello mi ha fatto pensare a te, quindi te lo dedico...A Te, C., che "nonostante tutto"...


Conosci i miei occhi quando guardano
verso di te,i giorni normali senza un gesto da ricordare.

Conosci i colori e la
parte più scura di me difficile da raccontare.

Conosci i miei occhi quando
guardano lontano da te,i particolari delle mani che non so curare

Conosci i ricordi e la parte più scura di me difficile da raccontare.



lunedì, settembre 17, 2007

Dear "Daddy"...

A volte la lontananza uccide i ricordi che accartocciati rimangono lì in un angolo della memoria.
Poi un giorno una vita si spegne e quegli stessi ricordi tornano a vivere.
Paradossalmente.
Perdonami, ma ancora una volta dovrò essere lontana.
Dear "daddy", I'll miss you.

venerdì, settembre 14, 2007

Citazione che passione!

Non capita spesso che io soffra di insonnia, ma quando l'evento accade mi concedo l'innocua distrazione delle piroette mentali.
Essendo ormai arrivata alla terza notte in cui mi giro i pollici nel letto canticchiando svogliatamente ritornelli e filastrocche, con l'inutile speranza di abbandonarmi tra le braccia di Morfeo, sono inceppata nel ricordo di un passo di un libricino intitolato Neve e scritto da Maxence Fermine:
Ci sono due specie di
persone.

Ci sono quelli che vivono, giocano
e muoiono.

E ci sono quelli che si tengono in
equilibrio sul crinale della vita.

Ci sono gli attori.
E ci sono i funamboli.


Quando lessi questo libro, dietro consiglio di una sconosciuta, decisi che da quel momento in poi avrei fatto di me una funambola.
E fu così che sono diventata colei la quale, pur rischiando di cadere e farsi male, ama eplicitare i sentimenti che animano le sue azioni, i suoi sguardi e le sue parole. Quelle dette e quelle non dette.

lunedì, settembre 10, 2007

La creatività mattutina


Questa mattina mi sono svegliata con la gola che andava a fuoco; colpa delle sigarette che negli ultimi 4 gg sono tristemente aumentate. Ma si sa che vado a periodi con il fumo. E questo è uno di quei periodi in cui mi vien voglia dalla mattina.
Comunque sia, mi sono alzata dal letto, ho fatto pipì, ho fatto il caffè, ho preparato metodicamente il mio angolo di tavolo per la colazione e mi sono messa ad aspettare che le fette di pane morbido tostassero a puntino (Vi spiegherò in un apposito post in cosa consiste la mia colazione).
E aspetta aspetta… mi sono messa a pensare! - Pratica per me inevitabile in quel momento mattutino - .
Ed ho pensato all’insana necessità di definire nominalmente i rapporti; etichettare, insomma.
La teoria da me formulata durante l’intera durata della colazione - e anche oltre – è scaturita dal considerare quante volte ho visto persone relazionarsi armoniosamente, finché la perversa necessità di definizioni prese dal vocabolario non sopraggiunge a far formulare, ad una delle due anime coinvolte, la fatidica domanda “Ma io e te cosa siamo?”.
A questo punto, non potendo, ma in realtà non volendo – che sarebbe anche un desiderio lecito -, definire la cosa, il destinatario del quesito si ritira sul cucuzzolo della montagna snocciolando all’altro le più assurde spiegazioni che vanno dalla legge del kharma alla filosofia Zen.
E il resto è non-storia.
Dopo essermi immaginata brevemente la scenetta che ho descritto usando, ovviamente, personaggi a me molto ma molto noti, ho continuato a riflettere.
Sono andata a fare la doccia e, tra un ritornello e l’altro, riflettevo.
Perché? Perché si sente l’impellente necessità di attribuire un nome a ciò che, in termini generali, due persone fanno o si dicono?
La risposta che mi è venuta in mente a primo acchito è stata “Questione di insicurezza insita nella natura umana nella misura in cui ci sentiamo ontologicamente uomini”.
Bisogno di certezze, quindi.
Ora, essendo noi esseri pensanti, possiamo per un attimo ragionare su una questione: se io e te siamo legati in un rapporto che, se pur indefinito, ci dà qualcosa che fondamentalmente ci fa star bene; se io e te, se pur persone che si proclamano – magari orgogliosamente – single, ci sentiamo come legate in una relazione esclusiva; se io e te, se pur maledicendo entrambi quel giorno, ci siamo ritrovati per caso dopo anni di educata indifferenza reciproca e per altre volte ci siamo allontanati rimanendo, comunque, immobili nello stesso punto aspettando che l’altro tornasse indietro; se io e te pensiamo di aver trovato la persona potenzialmente perfetta con la quale poter, perlomeno, tentare di pensare di realizzare anche solo una piccola parte dei progetti inerenti alla vita privata; se io e te abbiamo condiviso anche i momenti del quotidiano dedicati ai bisogno fisiologici meno entusiasmanti, eppur abbiamo riso; se io e te abbiamo perso ore ed ore di sonno – e qualche etto magari – rimanendo, comunque, carichi di entusiasmo cantando per casa magari la nostra canzone; se io e te non siamo interessati a nessun altro ci giri intorno, se pur di variegata specie e qualità; se io e te, insomma, siamo io e te nella nostra specificità di coppia intesa come l’insieme di due entità e, nel nostro essere ufficiosamente coppia, ci sentiamo semplicemente bene e solo a tratti confusi, allora mi chiedo “Perché etichettarci?”, “Perché dover trovare una parola che faccia capire agli altri ciò che noi sentiamo di essere?”.

Alla fine di questo ragionamento, tutta impettita e soddisfatta di me, mi è venuta in mente un’ulteriore domanda che riporta inevitabilmente alla prima: “E se ci etichettassimo non per far capire agli altri, ma per far capire a noi stessi?”

Quindi: bisogno di certezze, appunto.

E la certezza, allora, non possiamo magari trovarla in ciò che, se pur indefinito, ci ritroviamo a voler essere in modo visibile e tangibile, palpabile e anche sensibile a quel muscolo nel petto?
O pensiamo che soltanto una parola, o tante parole sintatticamente organizzate, possano darci la certezza di cui abbiamo bisogno?

Ovviamente, ad ogni “se io e te” dovete mentalmente premettere un PUTA CASO.

Buona settimana, cari loopati!

giovedì, settembre 06, 2007

Avete mai visto il film "Se mi lasci ti cancello" (titolo originale: Eternal sunshine of the spotless mind) ?

Ho riavviato il sistema per tre volte.
Per tre volte è apparsa la schermata blu.
L'unica cosa che rimane da fare è formattare.
E formatto senza fare il backup.

sabato, settembre 01, 2007

Post-it


Devo anche ricordarmi di avere un po' di paura.
Per evitare di star male.